TATIANA CARAPOSTOL

Sono paesaggi innevati e straniti nel verde, lagune di nebbia bassa, densa, protettiva che nasconde vetrificati sfinimenti veneziani, improvvisi di case affioranti nelle acque muschiate e ferme, luci e volumi di boschi segnati di luce dove il colore vive di una sua timbrica fatta di sonorità e di sincopi improvvise e di una sua strutturazione materica in continua tensione ancorata al farsi ritmo, espansione, trasgressione informale. In Tatiana Carapostol il procedere pittorico si svolge con i tempi di una storia privata fuori dagli esiti delle mode ed anche se il lessico dei segni e la automaticità del gesto si accreditano alla scuola degli astratto-informali Birolli, Turcato, Santomaso, con Emilio Vedova come polarità (non a caso Tatiana vive e lavora a Venezia), gli attuali svolgimenti accentuano velocità di segno e gesti dinamici e concitati. Nelle sue opere è possibile riscontrare gli esiti di una sintassi espressiva tenacemente personale, profondamente moderna, motivata da una serie di scelte praticata sulle tracce di un permanente processo di evoluzione e di maturazione dalle prime stazioni di matrice postespressionista. Il messaggio viene tradotto visivamente in modo originale e suggestivo, antiretorico con finezza e collassi improvvisi, sotteso e sospeso in segni e colori di raffinata fattura compositiva. E se il dato segnaletico di ieri era di una adesione alle suggestioni di un reale inteso “naturalisticamente” e comunque sempre filtrato e trasposto in esiti di pittura –pittura così che di tale reale non restavano altro che accenni frammentari, reperti di emozione, l’oggi si porta dentro infiltrazioni di espressionismo astratto, di informale storico con materie e materiali scarniti ai confini di una resa in termini di luce o inquietudini di nuovo spazio. È una pittura scarna, essenziale e sontuosa allo stesso tempo,formalmente compiuta, decantata nello zenitale della luce. Alcune conclusive e desuete scansioni ritmiche – scansioni a tratti di assoluta isteria grafica, a volte equilibrate e castigate in ritmi lievi – rompono l’ultima stagione degli spazi in contaminazioni e registri ai margini tra silenzio e ignoto. Così Tatiana Carapostol consuma il suo estraniamento nella magia, ora forte ed aggressiva ora morbida e sottesa, del colore, delle ferite di ombra luttuosa, dove il disegno è solidamente impostato in segni essenziali e tratti sfuggenti con all’interno gesti pittorici scomposti o sovrapposti, pennellate larghe, emozione cromatica in cui vibrano corde acute o malinconicamente assorte che il mixing segno materia riesce a determinare e concentrare in situazione. Situazione, in effetti, di cortocircuito tra il senso ancestrale della materia intesa nella sua indefinizione cosmica, provenienza oscura, buio della inspiegabilità universale ed il permanente tentativo di penetrazione, di carpirne l’anima ed il segreto, il condensato ultimo, l’assurdo per dirla con Roberto Pasini. E se il riferimento a Emilio Vedova – tra i pochi unici e indiscutibili maestri che seppero fondere segno, gesto e materia nella storia dell’arte italiana del dopoguerra – è quasi d’obbligo, quando la Carapostol allenta l’automaticità dell’action e dell’energia sprigionata e rifugge l’inquietudine iconoclasta dell’azzeramento della immagine ecco comparire nelle opere dell’artista la luce veneta del grande Afro e dei suoi “spessori di memoria” a conferma di un rapporto con la natura nè mimetico nè razionale ma processo esistenziale, immersione totale, coinvolgimento emotivo, esplorazione delle nuove frontiere della forma dell’informe.

VALERIO GRIMALDI